Le opinioni superbe . SUPERBIA
Perché non cento
In 25 Aprile 2016 da Debora BorgognoniPoesie e strutturalismi – recensione di Debora Borgognoni e Francesca Carnelli Chiarello
Abbiamo sempre pensato a una silloge come a un libro da leggere col singhiozzo. Singhiozzo metaforico, si intende. Insomma, con quello spirito del mood-odierno: se siamo tristi apriamo a caso e leggiamo la poesia più tragica che ci viene offerta dal volume. Se siamo felici leggiamo con lo spirito di chi vuole gustarsi le sinestesie, le melodie, i giri di parole. Le parole hanno potere.
Lo sapevano bene quelli dell’Oulipo. Lo sapevano gli strutturalisti, lo sapevano i post-moderni. Lo sanno i pubblicitari, nuova – ma mica troppo – forma d’arte di scrittura, per nulla lowbrow, per citare la prefatrice del libro di cui stiamo per parlarvi. Ed ecco il libro: “Perché non cento” di Alessandro Pagani, scrittore emergente (così ci chiamano, facciamocene una ragione) seppure mica troppo giovanissimo, edito da Edizioni Augh!.
Perché non cento è un esercizio di stile. Dire esercizio-di-stile fa immediatamente pensare a Raymond Queneau, e anche nel suo caso gli esercizi di riscrittura sono stati novantanove e non cento. Forse per intendere che il mondo è uno spazio ludico sempre aperto, mai definito, e in questo spazio ludico lo scrittore pesca senza pudore, si compiace del proprio egoismo nell’interpretare il tutto. Lo scrittore è un tuttologo. Ma un attimo: scrittore o scrittorante? Abbiamo appena citato Queneau e non era proprio lui a sostenere che siamo tutti scrittoranti prima di sentire nella pancia l’arte della letteratura (che è poi interpretazione del mondo)? Perché l’esercizio di stile è appunto un esercizio tecnico, che dimostra bravura tecnica.
Alessandro Pagani sarebbe quindi uno scrittorante che non interpreta del tutto il mondo ma analizza la struttura tecnica delle parole. E noi vogliamo trovare invece le radici di questo nostro mondo, quello che non è più strutturalismo, non è più nemmeno post-moderno – qualcuno lo chiama post-umano – e pare non avere nulla di nuovo da offrire al lettore, un Medioevo della letteratura. Ma è davvero così?
Partiamo dal citazionismo. Arriva dai Social l’apice della cultura del copia-incolla cominciata con il Pc, cultura che non prescinde da basi narcisistiche. Pagani ne fa tantissimo, e passa in rassegna, esplicitamente o implicitamente, poeti e filosofi del XX secolo.
Piove, pio bove
Piove,
e non mi sento poeta,
sebbene abbia nel cuore
deserti di parole […]
Soprattutto nei titoli, ma non di rado anche nel testo poetico, compaiono nomi come Karl Kraus (Detti (ridetti) e contraddetti); Friedrich Nietzsche (Così parlò Zarathustra); Umberto Eco… Tanto per citarne alcuni. Non è che ci siamo anche noi nel titolo Che peccato non fare peccato? Ah, l’egocentrismo dei blogger!
Anche se abbastanza centellinati, appaiono i simboli imprescindibili della contemporaneità.
Tre tre otto
Ho camminato per mondi
per largo e per giro
cercando quella luce
che toglie il respiro
seguendo quella voce
senza paure
ho solcato ruscelli
attraversato pianure
mai altra orma
ha toccato quel passo
t’ho cercato ovunque
in alto in basso
di mattina di sera
di notte profonda
sognando la tua forma
cercando la tua onda
poi mi son detto…
“Non c’è più niente da fare…”.
Ma dove sei finito,
dannato cellulare?
O le icone sexy:
Uma thur man
[…]
Pronto Man Thor…
Tremando ti mento?
Mentore tonto,
ti monto tremante.
O canzoni popolari di cui rivede il titolo, come Voglio andare a ridere in campagna.
O, ancora, Pagani si diverte utilizzando nei titoli anche giochi di parole che richiamano format televisivi come Italia’s got Taleggio o che rimandano a personaggi di famose saghe filmiche, come Obi one… but can obi.
Spesso utilizza anglicismi (Per versi one – per versi two) che impegnano il lettore nella risoluzione di piccoli rebus. A volte la poesia è anche meglio dell’enigmistica.
Non manca poi l’immortale nobile sentimento, e chiudiamo con questo, perché ci sembra il più personale di un libro che ha voluto mettere al centro il gioco, smontando anche quello, facendolo più volte a pezzi e dandoci piccoli assaggi poco per volta.
Insomma, la domanda ci rimane: chiudendo con l’amore chiudiamo con il classico o con l’unico eterno nuovo?
Gli amanti
Gli amanti non li vedi quando si amano,
piccole soavità d’aria, innamorati di spazio.
Freddi del tempo, amore e lotta,
si odiano e si stringono,
prendendo nulla dal sempre,
perdendo sempre dal nulla.
Lascerebbero bruciare i cieli in silenzio,
lascerebbero svanire le notti in un brivido.
Le loro anime accarezzano il segreto dell’ombra…
Quando si amano, consumati dai sensi,
erigono templi di fuoco.
Gli amanti impazziscono in grida violente,
più profonde della morte.
Il loro cuore si riempie di luce.
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